Chi sono

Matteo Della Rovere

La città si sta svegliando, pensai, e c’è sempre la stessa sporcizia, come allora. Non è cambiato niente. 

Mi tornarono alla mente i giorni in cui guardavo con altri occhi quelle strade, la metropolitana che scorreva chiassosa, le insegne, i colori, gli eccentrici personaggi. Anche gli odori mi sembravano straordinari. Magica, affascinante New York. Una volta rappresentava per me un futuro eccitante e sconosciuto. Ora vedevo le stesse cose con malinconia. Mi sembravano promesse non mantenute, una dimora per tante vite sconquassate e sofferenti, drammi più o meno silenziosi, lì come altrove. 

Mi fermai a un semaforo, anche se era ancora presto e le strade erano deserte. Abbassai il finestrino e inspirai avidamente. Mi attardai a osservare un uomo con la barba incolta, in canottiera sporca e pantaloni. Camminava con passo incerto, probabilmente già ubriaco, tra cartacce portate dal vento. Premetti il piede sull’acceleratore e mi allontanai. 

Mi ero svegliato all’alba e avevo avuto il desiderio improvviso di tornare a vedere il piccolo bar-ristorante dove avevo iniziato a suonare tanti anni prima. In quei tempi era un locale italiano, ma qualcuno mi aveva riferito che il proprietario, Carlo, un triestino alto e imponente, era morto e che ora vi si trovava un pub irlandese. 

Ancora ricordavo il cattivo odore di portacenere e alcool, il rosso sporco sulle pareti, il lucido, lungo bancone del bar. “Questo è il favoloso Come Prima”, aveva detto amaramente Orazio, batterista e leader del gruppo, il giorno della mia audizione. Era l’autunno del 1980. Nessun altro aveva risposto all’annuncio sul giornale. Forse per questo diventai il loro nuovo organista …

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La città si sta svegliando, pensai, e c’è sempre la stessa sporcizia, come allora. Non è cambiato niente. 

Mi tornarono alla mente i giorni in cui guardavo con altri occhi quelle strade, la metropolitana che scorreva chiassosa, le insegne, i colori, gli eccentrici personaggi. Anche gli odori mi sembravano straordinari. Magica, affascinante New York. Una volta rappresentava per me un futuro eccitante e sconosciuto. Ora vedevo le stesse cose con malinconia. Mi sembravano promesse non mantenute, una dimora per tante vite sconquassate e sofferenti, drammi più o meno silenziosi, lì come altrove. 

Mi fermai a un semaforo, anche se era ancora presto e le strade erano deserte. Abbassai il finestrino e inspirai avidamente. Mi attardai a osservare un uomo con la barba incolta, in canottiera sporca e pantaloni. Camminava con passo incerto, probabilmente già ubriaco, tra cartacce portate dal vento. Premetti il piede sull’acceleratore e mi allontanai. 

Mi ero svegliato all’alba e avevo avuto il desiderio improvviso di tornare a vedere il piccolo bar-ristorante dove avevo iniziato a suonare tanti anni prima. In quei tempi era un locale italiano, ma qualcuno mi aveva riferito che il proprietario, Carlo, un triestino alto e imponente, era morto e che ora vi si trovava un pub irlandese. 

Ancora ricordavo il cattivo odore di portacenere e alcool, il rosso sporco sulle pareti, il lucido, lungo bancone del bar. “Questo è il favoloso Come Prima”, aveva detto amaramente Orazio, batterista e leader del gruppo, il giorno della mia audizione. Era l’autunno del 1980. Nessun altro aveva risposto all’annuncio sul giornale. Forse per questo diventai il loro nuovo organista …

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